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Comfortably Numb

ottobre 19, 2009

La bellezza dell’intelletto sta nella sua morbidezza di fronte alla realtà. Una confortevole insensibilità su cui posare la propria solida e dura vita umana. Una nuvola.

La sua unicità sta nel continuo laborio di schemi geometrici che ne compongono l’equilibrio, che regalano la certezza del giusto all’uomo che crede di possederlo.

L’incanto di un incontro culturale sta nella capacità di far scontrare queste nuvole. Di farle avere moto difforme anche se portate dallo stesso vento. Sta nel farle piovere. Lunedì scorso ho partecipato all’incontro culturale organizzato dalle associazioni 11mt – officina politica e SottoLaPanca al circolo Bitte di Milano. La serata si proponeva di analizzare da diversi punti di vista il tema drammatico (perchè terribilmente umano) del valore della volontà individuale di fronte all’imminenza dell’evento morte.

La serata è stata enormemente piacevole. E’ stato affascinante scoprirsi parte di una società di persone che, smessi finalmente i panni adolescenziali indossando i quali a rendersi più affascinante era l’ignoranza, si proponeva finalmente di sentirsi grande, responsabile ed adulta. Si parlava sul serio. Si trattavano i temi prendendoli in pieno nel loro significato reale ed attuale; si lasciava che la drammaticità degli argomenti potesse spiegarsi totalmente per permetterle di farcene comprendere appieno la valenza.

E l’incontro, che già riceveva i miei complimenti e quelli di altri nonappena giunto a termine, poichè era vero che aveva raggiunto il suo scopo principale, quello di far piovere le sensibilità.

Ero giunto all’incontro sicuro che il telo impermeabile che da tempo ricopre il mio convincimento intimo sul tema trattato non avrebbe permesso nè intrusioni e neppure sgocciolamenti teorici. Ed invece, sarà stato il pathos, sarà invece stata la piena e regolare logicità degli interventi ascoltati, già nel ritorno a casa le mie certezze iniziavano a sudare, tenute in fatica dalla complessità dell’argomento appena sentito trattare.

Ed ora, a 5 giorni di distanza dall’incontro, credo di essere in grado di raccogliere le goccie di quella pioggia, per proporne un distillato che spero possa esser ritenuto almeno degno di esser guardato ed analizzato.

Come dicevo, sapevo in cuor mio di essere convinto in tutto e per tutto della necessità, compresa e sancita dai più alti testi normativi che regolano la società in cui svolgiamo le nostre esistenza, della necessità, dicevo, che la volontà dell’individuo sia difesa senza eccezioni anche e soprattutto nel momento della difficoltà vitale estrema. Nel momento in cui l’individuo è messo dal destino o dal precipitare degli atomi di fronte all’inevitabile schianto al suolo. Di fronte allo spegnimento della propria vita.

Ora invece, pur confermando di fronte a me stesso questa mia certezza, mi trovo a dover fare i conti con la necessità di cucire un nuovo paracadute, di dover eleborare un nuovo sistema perchè tale equilibrio possa non franare su se stesso. L’equilibrio di una teoria ha sempre bisogno di essere sorretto da fili e cavi che noi tendiamo perchè non si perda di fronte al mondo.

Il dubbio è questo.

La Sig.ra Welby, che ci ha fatto dono del proprio intenso intervento, ha raccontato tra le altre cose, il terribile momento in cui, di fronte alla disperata richiesta di aiuto del marito in crisi respiratoria, ha dovuto compiere una scelta. Da anni il marito Piergiorgio la pregava di non cedere alla propria sensibilità terrena, per lasciare che la propria esistenza si spegnesse, al momento deciso dal destino, senza che l’uomo potesse intervenire per prolungarne la flebile luce.

Eppure, nel momento dell’acuirsi della crisi respiratoria proprio il Sig. Welby, di fronte ai sintomi dello spegnimento del proprio corpo, iniziò a chiedere aiuto. In maniera disperata. In modo istintivo. E la moglie dovette – parole sue – chiamare il 118.

Alex Garland, nel libro The beach, descrive in modo efficacemente volgare quello che lui chiama “il momento del Game Over”. Il momento in cui, come in un video gioco, l’uomo riesce a comprendere, un attimo prima della fine, che la propria esistenza sta per finire. I videogamers di tutto il mondo hanno reazioni le più diverse: chi scatta urlando, fino al comparire inevitabile della scritta GAME OVER sullo schermo; chi abbassa lo sguardo affranto; chi freneticamente pigia tutti i tasti disponibili nella speranza di azzeccare la combinazione magica…

Ma la vita vera non è un gioco, e la descrizione di quell’attimo relativa al momento della morte merita sicuramente un’analisi più seria.

Credo che esista per tutti un momento del game over in cui a reagire istintivamente è il proprio corpo. Quando il vento soffia sulla candela con troppa forza, e sta per spegnerla, la nostra carne reagisce istintivamente. Il cuore strazia le proprie fibre per cercare altri impulsi. Il cervello travasa le proprie sostanze per tentare di dar seguito ai propri ordini. I muscoli cercano un disperato sussulto per tentare di dare aiuto al diaframma, che non riesce più ad espandere la massa polmonare. Temo che si chiami istinto di sopravvivenza, ciò che in realtà ci permette lungo tutto l’arco della nostra vita di non spegnerci insensatamente.

Ed ora spiego il dubbio. Devo dire che nel privato dei miei quaderni proverò a cercare uno stratagemma mentale per far combaciare quanto detto con la mia già maturata visione del problema. Ed infatti questo non è un dubbio di cui pretendo la risoluzione. Si tratta invece di un dubbio relativo alla meritevolezza di discussione di quegli aspetti. Siamo certi che l’istinto di sopravvienza non meriti quanto meno di esser analizzato assieme ai problemi trattati? Anche solo per esser poi stralciato.

Voglio quindi chiedere aiuto a chiunque per comprendere se questo movimento umano sia quantomeno meritevole di essere analizzato trattando il problema della volontà del paziente.

Dove sta l’istinto di sopravvivenza? Dove alloggia dentro l’uomo? E’ sicuramente stralciabile da ciò che possiamo serenamente definire “volontà”? Al momento del “Game over” di chi decide di esser lasciato morire, esso si presenta come allo stesso momento fa per tutti gli altri uomini, oppure eroicamente obbedisce alla “volontà” dell’individuo?

Oppure è solo un riflesso involontario… non so.

Lorenzo Tanara

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